Francesco Galluzzi
Vincenzo Missanelli a Matera


Catalogo della mostra Vincenzo Missanelli a Matera: testo introduttivo
Enzo Ferrara Art Gallery (Matera), 11 dicembre 2021 – 22 gennaio 2022

Vincenzo Missanelli a Matera
Vincenzo Missanelli Opere 1983-2013 – Vallardi Galleria D’Arte | 13 aprile | 12 maggio 2013

Vincenzo Missanelli è un artista visivo la cui produzione è decisamente caratterizzata da una sensibilità spiccata per gli aspetti architettonici e spaziali che definiscono – e ‘inventano’ – la collocazione degli oggetti tridimensionali nell’ambiente. I suoi interventi appaiono infatti concepiti sempre come articolazioni percettive che intendono esplicitare caratteristiche implicite dello spazio in cui vengono collocate (talvolta, come nei progetti di destinazione pubblica, si tratta dello spazio per cui vengono concepite e cui sono destinate), caratteristiche che spesso rimarrebbero impregiudicate se non fosse intervenuta a rivelarle una peculiare sensibilità artistica. Nel caso di Missanelli, questo aspetto che connota in maniera determinante la sua ricerca è stato nutrito anche dalla sua parallela attività di progettista e designer, e dalla frequentazione giovanile di personalità creative come quelle di Getullio Alviani e Bruno Munari, tra coloro che nell’Italia del dopoguerra hanno rivendicato con radicalità questi caratteri dell’operare artistico. Ma questa esperienza viene a collocarsi in una problematica più generale che ha segnato profondamente le articolazioni dell’arte moderno-contemporanea.
Infatti accanto alla metodologia interpretativa, che è stata dominante nella critica d’arte almeno fino agli anni Sessanta del secolo scorso, fortemente influenzata dal modernismo critico anglosassone culminato nella figura di Clement Greenberg (il cosiddetto ‘Papa’ della critica statunitense, artefice della fortuna critica dell’Action Painting e in particolare di Jackson Pollock), che individuava come discriminante per la qualificazione della contemporaneità di un’opera d’arte la sua totale e quasi tautologica autonomia significante rispetto al contesto espositivo (nasce qui la mitologia dello spazio espositivo come ‘white cube) e a qualsiasi funzionalità o coinvolgimento dell’osservatore, un’altra tipologia di logica dell’avanguardia si è sviluppata, assumendo un’importanza sempre crescente nelle riflessioni critiche degli ultimi anni. Quella di chi considerava e considera l’opera d’arte come una rete di relazioni attuate attraverso il momento realizzativo, e quello espositivo – che si esplicitano quindi nella progettualità di una stanza dell’oggetto pensato per un hic et nunc. Giulio Carlo Argan aveva intitolato un suo libro, nel quale contrapponeva questo genere di arte alla fiorente Pop Art, Progetto e destino.
L’episodio simbolico, quasi eponimo, di questa contrapposizione viene generalmente indicato nella polemica suscitata dall’articolo pubblicato nel 1967 da Michael Fried (il ‘miglior discepolo’ di Greenberg), Art and Objecthood, dove il Minimalismo americano veniva criticato come arte ‘teatrale’ o ‘letteraria’, in quanto – contravvenendo tutti i codici del modernismo – intendeva elaborare una relazione spaziale articolata sia con lo spazio espositivo sia con l’osservatore; articolo, quello di Fried, contro il quale intervennero polemicamente quasi tutti i protagonisti della Minimal Art. Ma le radici storiche di questo genere di mentalità creativa devono essere riconosciute in eventi accaduti alcuni secoli prima, precisamente nel XVIII, con l’affermazione delle poetiche neoclassiche. La definizione dell’economia di un nesso forma-funzione, che è la cifra distintiva del Neoclassicismo più alto, quando si spogli questa poetica delle tradizionali considerazioni sulla soggezione pedissequa al canone che si riteneva derivato dalla tradizione classica e alla sua imitazione come garanzia di bellezza, fu la prima vera introduzione nel contesto della produzione artistica delle problematiche relative alla questione del progetto. Progetto inteso come finalizzazione dell’opera (e della sua concezione, quella che il manierista cinquecentesco Federico Zuccaro avrebbe chiamato ‘l’Idea’) ad una sua funzionalità significante e contemporaneamente formale-formante. Una concezione che si può rintracciare lungo tutto il percorso della contemporaneità, attraverso l’architettura funzionalista e la nascita del design, come in certa astrazione degli anni Cinquanta e Sessanta, nelle esperienze Optical e nell’arte programmata e cinetica.
Significativamente, spesso i progetti di Missanelli rievocano, risalendo a ritroso questa genealogia, alcuni dei capolavori dell’architettura neoclassica, dai progetti visionari di Ledoux e Boullée (spesso rimasti allo stato utopico di sogni), a quelli di Nash, al Tempio realizzato a Possagno da Canova. Sembra infatti che Missanelli voglia ripercorrere con la sua ricerca i differenti sentieri di questa sensibilità, recuperandone – rispetto alle letture che nel tempo ne hanno proposto una interpretazione di razionalismo estraneo a qualunque coinvolgimento emotivamente empatico – la componente emozionale e perfino passionale di certe forme progettuali. In questo senso, anche l’interesse persistente in lui per un materiale così carico di memoria come il marmo sembra volerne lasciar sprigionare la dimensione sensuosa e anche, talvolta, lussureggiante – quello che una celebre mostra di alcuni anni fa definiva “il calore del marmo”. Coniuga però questo gusto materico con una attenzione altrettanto puntuale per i progressi delle tecnologie, dall’ologramma alla computer graphic, e da questo interesse deriva una serie di opere, anche bidimensionali, che interloquiscono con le esperienze optical, concentrate sulla indagine dell’elaborazione percettiva e la dinamizzazione interna di una immagine statica. In questo modo, il percorso di Missanelli artista e designer si svolge con la coerenza interna di uno sperimentalismo rigoroso, misurato e consapevole anche nel cospicuo ventaglio delle sue aperture.